Europa solidale e comunitaria Verso le elezioni di primavera

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Europa solidale e comunitaria Verso le elezioni di primavera

Messaggioda interventonellasocieta » 21/07/2014, 11:19

In vista delle prossime elezioni europee in Italia tutti i sondaggi di questi giorni stanno certificando una disaffezione dei cittadini, che dovranno andare a votare, nei confronti della Unione europea (UE).
Le proteste, i mugugni e persino le manifestazioni di piazza contro l'esproprio di sovranità, contro la delegittimazione democratica degli organismi e dell'apparato burocratico comunitario, contro il commissariamento delle politiche nazionali, si vanno sempre più ripetendo e sempre più diffondendo a macchia d'olio.
La gente comune è indignata perché subisce scelte che non capisce, prese da centri decisionali sentiti estranei e lontani. Il più delle volte si tratta di decisioni poco trasparenti, prese da soggetti senza volto e senza un'anima, che per giunta non sono stati né scelti, né eletti dal popolo, che, peraltro, aveva creduto di correggere attraverso la moneta unica le differenze che ci sono tra Paese e Paese e tra i cittadini europei. Il risultato è stato, invece, che le differenze sono ricomparse e Paesi dove la disoccupazione è al 25% e Paesi dove è al 5% difficilmente riescono ad avere politiche comuni.
Il servilismo che è cresciuto in Italia, affidandosi sempre più all'Europa ed al FMI, ha delegittimato poi la classe dirigente del nostro Paese e la politica “tout court”, coinvolgendo anche il Parlamento europeo in questo giudizio negativo.
Un facile ottimismo europeista ci aveva indotto a credere che l'Unione Europea fosse il luogo di una nuova e fraterna collaborazione, vediamo ora che non è così. Anche in Italia, che di questo europeismo un po' superficiale è stata forse la patria, l'opinione pubblica si è resa conto che in Europa la competizione è aspra ed avviene senza esclusioni di colpi e, soprattutto, perché si è accorta che all'Italia vengono imposte regole, politiche e persino usi, costumi e “valori” estranei alla nostra cultura ed alla nostra tradizione (basti pensare al diritto di famiglia). È per questo motivo che anche in un Paese europeista come il nostro la fiducia nella UE è ultimamente precipitata.
Di fatto è la BCE (Banca Centrale Europea), varata con il Trattato di Maastricht nel 1992 e nata nel 1998, che ha assunto la guida, oltre che della politica monetaria, della politica economica e sociale dell'area dell'Euro, espropriando gli Stati nazionali della loro sovranità.
Per rendersene conto basta ricordare la lettera che Mario Draghi e Jean Louis Trichet inviarono al presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, il 5 agosto 2011, a nome del Consiglio direttivo della BCE, con la quale dettarono una precisa agenda al governo italiano.
Mai un gruppo di eurocrati, indipendenti dal potere politico, che Paolo Savona definiva in un suo opuscoletto di qualche decennio fa “gli gnomi di Bruxelles”, era intervenuto in maniera così diretta e dispotica nella vita pubblica di un Paese.
In pratica la BCE, la Banca Mondiale, le agenzie di rating ed il FMI (Fondo Monetario Internazionale), ma anche il “mercato”, a cui si sono inchinate sia le forze del Centrodestra che della Sinistra liberaldemocratica, hanno “commissariato” l'Italia, perché ci dicono, quali riforme fare, quando farle e come far quadrare non solo i conti dello Stato, ma anche i bilanci delle nostre banche.
Se non è questa una vera e propria perdita di sovranità!!!
Solo una guerra con eserciti d'occupazione sarebbe stato peggio e ci avrebbe messo più in ginocchio. Oltretutto non abbiamo ottenuto nulla in cambio. Anzi, abbiamo finanziato con 50 miliardi gli altri Paesi della periferia europea anziché utilizzare questi soldi per pagare i crediti delle PMI, che vantano nei confronti della pubblica amministrazione, o all'abbassamento della pressione fiscale, ecc. ecc..
Questo “commissariamento” della politica italiana e, di conseguenza, della democrazia, l'abbiamo registrato ormai da diversi anni; da quando cioè l'Italia rinunciò alla sua sovranità monetaria con il suo Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, che il successivo 18 maggio del 1999 fu premiato con la nomina a Presidente della Repubblica italiana e da quando la carica di Primo ministro e quella di Ministro dell'Economia e delle Finanze (MEF), dopo gli ultimi “politici” Tremonti e Visco (Vincenzo, naturalmente) è stata assegnata a tecnici come Padoa Schioppa, Mario Monti, Saccomanni ed ora Padoan.
Si tratta di esponenti di quegli ambienti definiti secondo alcuni “poteri forti”, che da sempre hanno avuto come obiettivo, nelle migliori delle ipotesi, quello di sostituire la tecnocrazia alla politica e, nella peggiore, quello di cedere il potere effettivo all'industria finanziaria ed ai signori del denaro.
In effetti si tratta di quegli ambienti, che un tempo operavano dietro le quinte e venivano chiamati “forze occulte” e che, oggi non hanno nemmeno più il pudore di nascondersi, perché sono riusciti a far passare l'idea che per affrontare quello che Carl Schmitt definiva “lo stato d'eccezione”, dove lo stato di diritto è sospeso, e per superare le devastanti crisi economiche e finanziarie, è necessario affidarsi a “tecnici”.
E' sotto gli occhi di tutti, infatti, che la debolezza della politica, la cui eclissi si è venuta allargando negli ultimi vent'anni, si è diffusa in tutto l'Occidente di fronte al potere irresponsabile di questi “tecnici” e della grande finanza. Ora il fenomeno è solo più evidente di ieri e in Italia lo è più che altrove. Ma è l'intera Eurozona, ormai, a trovarsi in queste condizioni, le cui conseguenze sono:
1) la fine dell’autonomia della politica. La resa delle istituzioni italiane alla governance economica europea, la quale, evidentemente, ha piazzato e cercherà sempre di piazzare propri uomini alla guida dei paesi più esposti alla crisi dell’Eurozona (in Italia, in Grecia, in Portogallo, ecc. ecc.).
2) la resa incondizionata alle teorie neoliberiste in tutto l’Occidente (la finanza d'assalto ha deciso che può e deve governare direttamente, senza alcuna mediazione degli stati, dei governi e dei parlamenti).
Siamo dinanzi ad una vera e propria dottrina economica e politica, che estende le regole del mercato alla società e alle istituzioni, trasformando “l'economia di mercato” nella “società del mercato”; una dottrina ed una concezione del mondo della vita, che fa del profitto l'unico scopo della vita e della mercificazione di tutto e di tutti, persino del corpo, lo strumento per raggiungere l'obiettivo.
Eppure non sono stati eliminati gli Stati che sono membri dell’Unione Europea e la democrazia ha ancora una dimensione nazionale con le classe dirigenti che hanno avuto il voto dei loro connazionali, che vanno alle urne e votano.
Dietro la crisi finanziaria ed economica, si profila, quindi, una crisi epocale più grave:quella della politica e della democrazia rappresentativa così come l'abbiamo conosciuta. E le reazioni potrebbero essere, o quella di ritirarsi all’interno del proprio Stato, della propria regione, del proprio comune, o indignarsi e protestare in maniera anarchica.
Nessuna di queste alternative, però, è in grado di dare risposte ai problemi dell'uomo europeo.
Tra i due estremi: chiudersi in una cittadella isolata dal resto del mondo (gli Stati nazionali) o aprirsi ad un governo mondiale, la repubblica universale di memoria mazziniana, l'alternativa molto più vicina, realizzabile ed auspicabile, è l’unità dell’Europa.
Una patria europea è un traguardo possibile e praticabile.
Occorre perciò partire dal basso, per rilanciare il progetto di una Costituzione europea, che può rappresentare una prima, adeguata risposta all'Europa delle banche e dei burocrati.
Il ruolo dell'Italia può essere fondamentale, naturalmente vanno ridiscusse, come ha proposto Giuseppe Guarino nel suo recente libro “Cittadini Europei e crisi dell'Euro” (Editoriale Scientifica, Napoli), le condizioni in base alle quali stiamo partecipando alla UE, modificando i Trattati, perché si possa rilanciare un nuovo, grande progetto ed una nuova idea di un'Europa solidale e comunitaria.
Pertanto è di una vera e propria rivoluzione culturale che c'è bisogno in Italia ed in tutti i Paesi interessati alle prossime elezioni europee di primavera, partendo dalla consapevolezza, che “gli Stati membri della UE rimangono, è vero, nazioni distinte, ma il loro maggior peso e significato politico e culturale viene dal far parte dell'unico “SuperStato” che esiste al mondo. Di questa ignorata occasionale “fortuna”non si potranno giovare a lungo, preferendo, in una sorta di cupio dissolvi, una reciproca disgregazione, un ignorante separatismo tribale, che porterebbero alla loro totale irrilevanza storica” (Guido Rossi ne Il Sole 24 Ore).
Va ricercato, perciò, assolutamente un nuovo equilibrio tra integrazione economica, sovranità nazionale e democrazia politica (ad esempio si potrebbe partire dall'elezione diretta della Commissione), perché deve essere chiaro a tutti che, come ha scritto Denis de Rougemont nel suo libro “Vingt-hiut siècles d'Europe”, “l'Europa è molto più antica delle sue nazioni, ma rischia di perire per colpa delle loro discordie e della loro pretesa - sempre più illusoria - di conservare la sovranità assoluta. Al contrario la loro unione salverebbe l'Europa salvando, nello stesso tempo, ciò che resta vitale nella sua feconda diversità”.

Riccardo Pedrizzi
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