Il demone del denaro

..discussioni e opinioni sugli editoriali..

Il demone del denaro

Messaggioda interventonellasocieta » 21/07/2014, 11:21

«Si è molto ragionevolmente osservato che la rivoluzione francese guida gli uomini più che questi non guidino la rivoluzione medesima»...«Gli scellerati stessi i quali par che regolino la rivoluzione, vi entrano solo come semplici strumenti, ed appena pretendono di dominarla, cadono vilmente»...«Robespierre, Callot o Barrère, non pensarono giammai stabilire il governo rivoluzionario ed il regno del terrore, vi furono portati insensibilmente dalle circostanza...»...«Finalmente, quanto più si esaminano i personaggi della rivoluzione più attivi in apparenza, tanto più trovasi in loro qualche cosa di passivo e di meccanico».
Questo scriveva il grande pensatore cattolico controrivoluzionario Joseph de Maistre sulla rivoluzione dell'“Ottantanove” che aveva distrutto e divorato coloro che avevano messo in moto il meccanismo infernale.
Così sta accadendo ai nostri giorni anche per i guru della grande finanza. Chi ha creato, cioè un sistema dove contano soltanto le performance dei profitti; dove bisogna raggiungere i risultati ad ogni costo e costi quel che costi; dove i mercati danno giudizi inappellabili sul brevissimo tempo, giorno per giorno, se non ad “horas”ed a frazione di minuto; dove per raggiungere gli obbiettivi assegnati non si esita fare truffe planetarie ed a distruggere i risparmi di una vita di lavoro dei piccoli risparmiatori e persino le pensioni di anziani ed invalidi; chi ha creato questo mostro, che si chiama “mondo della finanza”, alla distanza non regge e la fa finita, suicidandosi, uccidendosi.
Negli ultimi tempi infatti l'intero settore finanziario è sotto shock.
Mesi scorsi in Svizzera un top manager si è tolto la vita. Il cinquantenne Carsten Shloter, tedesco, chief executive officer del gruppo delle tlc Swisscom (che controlla l'italiana Fastweb) si è suicidato nella sua abitazione, nei pressi di Friburgo e ha lasciato scritto, «Non puoi stare connesso con il lavoro ventiquattro ore su ventiquattro, non puoi cancellare la famiglia, non puoi scordare i figli, non puoi dimenticarti della vita». Ma già precedentemente in un'intervista aveva dichiarato che gli era “sempre più difficile scalare di una marcia la mia esistenza”, ammettendo inoltre di temere di “finire senza accorgertene in un loop di attività compulsiva”.
Più recentemente, è stata la volta di Pierre Wauthier, direttore finanziario del colosso assicurativo «Zurich», che si è suicidato. L'uomo, 53 anni, è stato trovato morto nella sua casa nel cantone di Zug. Lascia una moglie e due figli.
Precedentemente nel dicembre 2008 era stata la volta di Alex Widmer, amministratore delegato della Banca Julius Baer e poi di Adrian Wohler, cinquantatreenne, amministratore delegato dell'azienda dolciaria Ricola, che si era anch'egli tolto la vita nel novembre 2011. Tutti questi manager sarebbero stati affetti dalla “Sindrome da burnout”, la patologia che colpisce a seguito di ritmi di lavoro stressanti e per sovraccarico da stress. Questa patologia colpisce anche i gradi intermedi, come è capitato con il suicidio dello stagista 21enne Moritz Erhardt, trovato morto dopo 72 ore di lavoro consecutive in Bank of America.
Qualcuno però è riuscito a fermarsi sul baratro, come è capitato per Joe Hogan, direttore generale di Abb, che a maggio ha annunciato le sue dimissioni perchè “stressato”, dichiarando di voler dedicare “più tempo alla mia famiglia e alla mia vita privata”, e rinunciando così ad uno stipendio milionario; o per Peter Voser, manager di successo in Shell, o ancora per il numero uno della Lloyd's, Antonio Horta-Osorio, che ha chiesto due mesi di aspettativa “per insonnia e sovraffaticamento da lavoro”.
La verità è che in questi ultimi decenni perseguire la ricchezza non è più nemmeno cercare il piacere, ma diviene una vera e propria “vocazione”; infatti “i signori dell'oro” godono della propria ricchezza meno dell'ultimo dei loro dipendenti e dei loro operai; più che “possedere” la ricchezza e quindi utilizzarla per esser liberi rispetto ad essa e servirsene per elevarsi spiritualmente, per ricercare e godere beni di qualità, per sviluppare sensibilità per le cose preziose, ma anche, perché no? per godersi la vita, essi ne sembrano solo i meri amministratori.
“Fiat productio, pereat homo”, diceva giustamente Sombart. E così l'«uomo economico» fa del guadagno, degli affari e del rendimento un fine senza il quale la vita è del tutto priva di significato, e non comprende che “se le cose, il denaro, la modernità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini” e “Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità” (Papa Francesco, Roma, Giornata dei catechisti 29/09/2013). Il Santo Padre, ha confermato così quello già detto nel corso dell'intervista a “Civiltà Cattolica” che “l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali” e, poi, ha ribadito ancora le parole pronunciate qualche giorno prima nel corso dell'omelia della Santa Messa presso la Casa Santa Marta: il denaro “ammala la nostra mente... ammala anche il pensiero”. Il Santo Padre cioè non si stanca di metterci in guardia, avvertendo ciascuno di noi che se si sceglie la via del denaro “alla fine sarai un corrotto” perché il denaro “ha questa seduzione di farti scivolare lentamente nella tua perdizione”.
E' accaduto inoltre, ai nostri giorni, che al principio tradizionale della limitazione del bisogno entro il quadro di una economia normale, cioè di una equilibrata economia di consumo, si è sostituito il principio della accettazione e dello sviluppo del bisogno stesso nella forma di una civiltà del lavoro e poi, e soprattutto, della macchina.
Si è arrivati ad un punto in cui il rapporto fra bisogno e lavoro è del tutto capovolto: non è più il bisogno che chiede il lavoro, ma è il lavoro (la produzione) che ha bisogno del bisogno. In regime di superproduzione, perché tutti i prodotti siano venduti, occorre che i bisogni dei singoli lungi dall'esser ridotti, siano mantenuti ed anzi moltiplicati, in modo che sempre più si consumi e si tenga sempre in moto il congegno che, se si inceppa, porta inevitabilmente ad una di queste conseguenze: o la guerra come mezzo violento per raggiungere una maggiore potenza economico-produttivo-lavoratrice; ovvero la disoccupazione (disarmo industriale) con la conseguenza di produrre crisi e tensioni sociali.
Fino a ieri ci si muoveva però, nonostante tutto, nell'ambito dell'economia reale. Infatti fino agli anni '90 era il capitalismo industriale a prevalere. Tra General Eletric o General Motors e Golman Sachs erano le prime che contavano.
La finanza era al servizio dell'economia reale, cui tuttalpiù ne era alleata. Oggi le logiche e gli interessi dell'una e dell'altra sono invece in conflitto. La finanza compete con l'economia reale e le sottrae risorse. Fondare un'impresa, conquistare un mercato, lottare con il fisco e le banche, è un conto e richiede sacrifici, investire i propri soldi in un hedge fund o in un private equity e incassare la rendita è un altro ed è più facile. Nel 2003 raggiungeva 37 mila miliardi il PIL (prodotto globale del pianeta) e 312 mila miliardi erano le attività finanziarie; nel 2010, 63 mila miliardi di prodotto e 851 mila miliardi di attività finanziarie, nel 2012 di questi solo un quarto sono di attività finanziarie tradizionali (quattro dollari per ognuno di prodotto) mentre il grosso sono derivati, ovvero le attività finanziarie meno trasparenti e meno regolamentate. In particolare il PIL mondiale oggi arriva a 82/85 mila miliardi di dollari mentre i derivati OTC (Over the counter, cioè al di fuori di ogni contabilità regolamentata e trasparente) raggiungono i 633 mila miliardi di dollari.
Questa caduta inarrestabile verso la degenerazione dell'economia e della finanza è iniziata da quando si è affermata la concezione secondo la quale ciò che conta è solo la materia. Se l'uomo è solo una macchina (antropologica illuminista), se non esiste se non la materia (materialismo), se non esiste lo spirito nell'uomo, nella storia allora contano solo i beni economici. E se i beni economici sono i veri ed unici “valori”, l'economia da mezzo si trasforma in fine. Nasce così l'economicismo secondo cui l'unica prospettiva è quella economica, l'unica ragione di vita è il risultato economico. Ed allora se ci si mette su questa china si può anche trascurare l'economia reale e privilegiare quella virtuale. Purché si guadagni.

Riccardo Pedrizzi
interventonellasocieta
Amministratore
 
Messaggi: 5
Iscritto il: 17/06/2014, 16:26

Torna a Editoriali del Sen. Dott. Riccardo Pedrizzi

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron